Nel 1964 Officina Edizioni, casa editrice romana fondata da Aldo Quinti, pubblica i suoi primi due titoli : Borromini nella cultura europea, dell’architetto e storico Paolo Portoghesi, e La crisi semantica delle arti del filosofo Emilio Garroni.
Queste opere mettono in evidenza il carattere interdisciplinare molto originale di questa iniziativa editoriale. I due autori sono allora giovani e poco noti. Essi hanno in comune la loro formazione e il loro campo di ricerca, cioè l’estetica delle arti o l’architettura. Questi campi costituiranno, per i seguenti quarant’anni i due principali spazi editoriali di Officina.
L’arte è intesa come il percorso dell’artista , la filosofia dell’arte, la storia dell’arte, l’estetica e la semiologia della produzione artistica. Quanto all’architettura essa si svela attraverso la ricerca storica, l’analisi del progetto e della storia urbana, gli studi storiografici e iconografici, così come la teoria e la critica architettonica.
Questo intervento si propone di ricostruire il filo delle relazioni fra l’editore e i suoi autori in un contesto culturale vivace: quello dell’Italia dei gloriosi anni che seguirono la seconda guerra mondiale.
Io cercherò di ricostruire la biografia intellettuale della élite degli storici italiani prendendo le mosse dal catalogo di Officina Edizioni e dalla personalità del suo fondatore Aldo Quinti.
Questa casa editrice si è interessata a discipline come la storia, la storia dell’arte, la linguistica, l’estetica, la sociologia e l’etnologia. Ma è l’architettura quella che costituisce il cuore critico di questo “laboratorio”, un laboratorio nel quale invenzione e produzione sono in costante interazione.
Ora parlerò brevemente delle premesse di Officina Edizioni. Esaminerò poi in particolare due delle collane di architettura. Concluderò infine con l’avvenimento chiave della scena culturale romana verso la fine degli anni settanta: la mostra “Roma interrotta”.
Consentitemi innanzi tutto di descrivere l’ambiente nel quale si incontrano Aldo Quinti e i suoi giovani autori, e lo scenario che vede la nascita di questo laboratorio di idee e il suo programma.
Fra la fine degli anni quaranta e l’inizio degli anni cinquanta, Aldo Quinti allora appena trentenne, diventa responsabile dell’Ateneo, una casa editrice scientifica di qualità e a livello nazionale. La parola “ateneo” significa in italiano “università”. Si riferisce qui all’università La Sapienza di Roma e alla sua prestigiosa facoltà di lettere e filosofia.
Direttore dell’Ateneo, Quinti sviluppa intanto i suoi propri progetti anche nella editrice che chiama “ Quinti e Polveroni”. E’ qui che pubblica due opere indicative che mostrano già l’interesse che porta all’edizione d’arte come campo di ricerca. La prima di queste edizioni è Giorgione di Lionello Venturi apparso nel l963 e ormai introvabile. La seconda, quella del pittore Piero Dorazio, La fantasia dell’arte nella vita moderna datata 1953. Questo libro si rivela come una straordinaria sorpresa: per il suo contenuto, la sua impaginazione, il suo materiale iconografico. La sua strategia grafica ricorda quella adottata per Giedion in “Dieci anni di architettura contemporanea”. L’ambizione di Dorazio è di aiutare alla comprensione delle immagini, della teoria e delle forme di espressione dell’arte moderna – e questo grazie a una sintesi “gestaltica”.
All’inizio dell’anno 1963 il giovane e ambizioso Paolo Portoghesi contatta Quinti alle edizione dell’Ateneo per proporgli un suo libro su Francesco Borromini. Quinti è ormai ricco di anni di esperienza nel mondo editoriale: questo testo di Portoghesi gli fornisce quindi l’occasione attesa di avviare una casa editrice dedicata all’architettura. Così nasce Officina Edizioni e la sua prima collana “Officina di architettura”.
Quinti prende in prestito il nome della sua nuova casa editrice da una precedente iniziativa eccezionale: quella della rivista “Officina” fondata a Bologna nel cinquantacinque da Roberto Roversi, Francesco Leonetti e P. P. Pasolini .
Bisogna adesso sottolineare la precocità e la chiaroveggenza delle intuizioni di Quinti. Già dall’inizio degli anni sessanta lui crede già pienamente al mercato del libro nel campo architettonico, e questo malgrado il debole interesse che gli portano gli altri editori italiani. Il suo obiettivo è di colmare una lacuna. La collana “Officina di architettura” è pensata in quest’ottica. La direzione ne è affidata a Paolo Portoghesi.
Il nome di Paolo Portoghesi non vi è sicuramente sconosciuto. Mi permetterò tuttavia di ricordare rapidamente le tappe che portano alla pubblicazione della sua opera su Borromini. Prima di ottenere la laurea in architettura, Portoghesi ha già pubblicato un volume su Guarino Guarini e tre saggi sul celebre maestro di Bissone.
Portoghesi è affascinato dall’architettura di Borromini. Le sue esplorazioni lo porteranno, in seguito, a una importante opera della maturità sul Barocco romano. Egli arricchisce la sua precoce fascinazione per il vocabolario barocco con una originale utilizzazione della fotografia. Per evidenziare la profondità e la complessità dello spazio barocco, Portoghesi utilizza obiettivi professionali come dei grandangoli molto ampi.
Il suo testo Borromini nella cultura europea inaugura la prima vera collana di architettura in Italia. Essa esisterà fino al 1881, e saranno pubblicati undici libri nel formato centocinquanta per duecento quaranta rilegati in tela con sovraccoperta a colori. Con una tiratura limitata di mille esemplari che si esaurisce in pochi anni. Il quadro cronologico di questa collana si estende dal sedicesimo al ventesimo secolo. La prima intenzione è quella di dare la parola a dei giovani ricercatori i cui lavori sono peraltro di una densità e di una novità particolari.
In un documento del 1965 Portoghesi propone una lista di titoli che dimostra l’ampiezza di questo progetto storico e insieme le premesse di una apertura internazionale.
Il libro su Ascanio Vitozzi appare nel l968 e anche Kilian Dientzenhofer del norvegese Christian Norberg-Schulz , l’opera su Markelius di Stefano Ray uscirà nell’anno seguente.
Altri progetti prenderanno vie diverse. Penso in particolare al lavoro di Bruschi su Bramante che sarà finalmente pubblicato da Laterza nel sessantanove. Comincia evidentemente a prendere corpo una certa concorrenza .
L’apertura internazionale si allarga quando appare la traduzione di Grant Mason Frank Lloyd Wright: la prima età dell’oro” con una introduzione di Henry-Russell Hitchcock. Portoghesi è l’autore delle immagini a colori - è decisamente un fotografo senza pari ! - le illustrazioni in bianco e nero sono quelle tratte da Nella natura dei materiali di Hitchcoch.
Quanto al volume di Manfredo Tafuri su Giulio Romano che è compreso in questo elenco, non vedrà mai la luce. E’ tuttavia di Tafuri il secondo titolo della collana di Portoghesi L’architettura del Manierismo nel cinquecento europeo.
Tafuri, di poco più giovane di Portoghesi, ha studiato anche lui nella facoltà di Architettura di Roma dove sviluppa il suo impegno politico militante. L’opera di Quaroni è il tema del suo primo libro Ludovico Quaroni e lo sviluppo dell’architettura moderna in Italia pubblicato nel 1964. Porrei l’accento due punti a proposito di quest’opera. Primo la casa editrice: la prestigiosa Edizioni di Comunità dell’industriale Adriano Olivetti. E poi la continuità in termini di progetto intellettuale, con l’opera di Argan Walter Gropius e la Bauhaus (pubblicato nel 1951).
Si può notare qui che nel giro di pochi anni i nomi si intrecciano e si ripetono nella storia dell’intellighenzia italiana. Tafuri e Portoghesi prima colleghi, poi rivali, infine nemici giurati, vi occupano un posto di primo piano.
L’architettura del manierismo nel cinquecento europeo si può notare in questo titolo una forte eco con il precedente volume di Portoghesi apparso del 1966 nella stessa collana diretta da Portoghesi.
Nel 1970 è il turno di Tafuri di assumere la direzione di una collana di architettura presso Officina. Ma nel frattempo i rapporti di forza fra gli autori di questo intrigo che mescola edizioni architettura e mondo accademico si vanno evolvendo.
Portoghesi è ormai a Milano: è stato nominato professore di storia dell’architettura e preside della Facoltà nel 1968. In questo stesso anno Tafuri è nominato direttore dell’Istituto di Storia dell’architettura di Venezia che è appena stato creato in seno all’IUAV.
Questo che sarà chiamato più tardi “la scuola di Venezia” si sviluppa anche con l’arrivo di architetti romani come Ciucci e Manieri-Elia.
Fra gli studi condotti su questa scuola citerò l’ “ Italiofilia” di Jean-Louis Cohen, pubblicato nel 1984. A proposito dell’abbondante produzione letteraria di questi anni egli scrive “Se i rapporti fra gli intellettuali italiani e gli architetti sono così particolari è senza dubbio, soprattutto, perché gli architetti stessi sulla traccia dei pionieri dell’architettura razionale del periodo fascista, sono capaci di scrivere e motivare intellettualmente i loro punti di riferimento e il loro approccio progettuale”.
Cohen dimostra anche il ruolo centrale di Tafuri in questa “vera terra vergine” che è Venezia.
Egli scrive: Tafuri “ sta dedicando l’essenziale della sua energia alla costruzione di una istituzione, di una scuola indirizzata esclusivamente alla storia dell’architettura che smetta di essere un’attivita dilettantesca per architetti mal guidati, per diventare un vero campo di qualificazione professionale “.
In quest’ottica la creazione di un centro di ricerca dedicata all’architettura a all’arte moderna è una novità assoluta in Italia. Officina edizioni diventa dunque lo strumento di questo progetto intellettuale. Tafuri inviterà parecchi dei suoi assistenti e dei suoi migliori studenti a collaborare alla collana “Architettura”.
Ecco le parole con le quali presenta la Collana ( questo testo figura nel catalogo di Officina e sulla quarta di copertina di ogni volume) “L’obiettivo centrale di questa collana è il riesame della vicenda dell’ architettura moderna e delle tecniche di pianificazione alla luce della marxiana “critica dell’ideologia”, l’individuazione dei nodi determinanti la crescita dell’ideologia borghese del “piano” il suo confronto con la realtà dello sviluppo capitalista: questi i termini interno ai quali si articolerà la nostra linea di ricerca.”
Durante il primo decennio che corrisponde ad anni di formidabile produttività i venti libri che appaiono poggiano su questo postulato: senza ombra di dubbio essi fondano le basi della disciplina della storia dell’architettura.
La collana si apre con la traduzione di un classico: Autobiografia di un’idea di Louis Sullivan.
Questo testo dimostra che Tafuri, arrivando a Venezia, ha cominciato un nuovo lavoro di ricerca i cui poli sono gli Stati Uniti, l’Unione sovietica e la Germania di Weimar.
Nel settantuno Socialismo, città, architettura URSS1917-1931. Il contributo degli architetti europei è il risultato di un lavoro collettivo di ricercatori della scuola di Venezia. Il tono politico del volume è forte. La distanza presa con le posizioni del partito comunista italiano appare in modo esplicito: gli autori si dichiarano in effetti come la coscienza critica del P.C.
Aldo Quinti senza aver mai aderito ad alcun partito è sempre stato dello stesso orientamento dunque cerca di far coincidere le scelte e la sua posizione politica con il rigore intellettuale.
Tafuri sviluppa la portata internazionale della sua collana “architettura” con traduzioni di opere importanti: Londra città unica di Rasmussen; La Lisbona del marchese di Pombal di Franca; Architettura e politica in Germania 1918-1945 di Barbara Miller-Lane; e ancora Walter Gropius e la creazione del Bauhaus di Franciscono.
Non tutti i progetti internazionali si concretizzano e Tafuri si occuperà intensamente della Collana fino al 1984. In quattordici anni sono ventisette i volumi che appaiono dunque circa due volumi all’anno il che è enorme. L’ultimo a essere pubblicato è dello stesso Tafuri Renovatio urbis. Venezia nell’età di Andrea Gritti (1523-1538) ; quest’opera segna la fine della collaborazione fra il grande storico e il suo editore romano.
La collana riprende nel 1996 due anni dopo la morte di Tafuri. Donatella Calabi ne assume la direzione, lei era stata uno degli autori pubblicati in “Architettura”. E’ una collaborazione prestigiosa con le éditions du Seuil che apre questo nuovo periodo: L’allegoria del patrimonio di Francoise Choay.
Ma torniamo, in maniera più ampia a Officina Edizioni. Nel 1984 quando la casa festeggia i suoi vent’anni di produzione , il suo catalogo conta ventisette collane. Questi anni sono stati febbrili. Circa cinque libri al mese fra testi inediti e riedizioni. È un numero considerevole per un editore che non ha mai abbandonato il terreno della sperimentazione e della creazione artigianale. Voglio anche sottolineare il fatto che opere apparse presso Officina sono state in seguito tradotte e pubblicate in altri paesi e che parecchi progetti di coedizione si sono sviluppati. Ne ricorderò uno URSS 1919-1978, la città, l’architettura di Cohen, De Michelis, Tafuri, pubblicato dall’editore francese L’Equerre nel l979. Si tratta di una importante raccolta di testi accompagnata da una ricca iconografia. A questo proposito ho letto nell’archivio che ho consultato, anche una lettera amichevole di Jean-Louis Cohen a Quinti del 1978.
Finirò questa presentazione con un episodio della cultura architettonica italiana che illustra la vivacità che Roma ha conosciuto durante l’amministrazione di sinistra quando il sindaco era Argan. Si tratta della mostra “Roma interrotta” e del suo catalogo pubblicato da Officina Edizioni nel 1978.
Nell’introduzione Argan scrive con intelligenza e ironia “ per fortuna Roma non ha mai avuto paura del pasticcio. … E’ la città della Provvidenza… Si potrebbe credere che alla Provvidenza succederà l’Utopia…. L’Utopia non ha mai messo piede a Roma ancora meno che a Las Vegas. L’Utopia è il contrario ateo della Provvidenza; l’immaginazione è la Provvidenza dei laici e speriamo che Roma sarà laica o non sarà “
“Roma interrotta” è stata una felice circostanza per una città a corto di immaginazione. Negli anni settanta questa immaginazione non faceva certamente difetto a Aldo Quinti che ne aveva fatto la sua cifra più significativa.
Nel 2004 quando il fondatore di Officina passa la mano alla generazione più giovane, il catalogo conta circa mille titoli divisi in quarantanove collane delle quali più di metà riguarda sempre l’architettura e la storia dell’architettura.
Ho potuto ricostruire le strette relazioni fra gli attori di questo racconto – l’architetto come autore e come soggetto -
grazie alla generosità di Jolanda Quinti che mi ha aperto i suoi archivi privati.
La ringrazio qui della sua testimonianza: è stato un contributo straordinario di storia orale.